MALTRATTAMENTO GENETICO NEI CANI DI RAZZA

Il malessere fisico e mentale dei cani di razza è una preoccupazione sempre più diffusa tra i veterinari. Ma la presa di coscienza che proprio dietro i concetti di “cani di razza” e "razza pura” si possano nascondere delle insidie per le funzioni fisiologiche e la capacità di movimento degli animali non è recente: risale infatti al 1967.

In quell’anno al Congresso mondiale di Parigi organizzato dall’Associazione veterinaria per i piccoli animali (World Small Animal Veterinary Association- WSAVA), comprovato il livello di aberrazione di certi “campioni” pluripremiati nelle competizioni nazionali e internazionali, e considerando che proprio questi individui erano guardati dagli allevatori come l’“ideale” da perseguire, veniva diramato un comunicato piuttosto chiaro: “Ogni standard - vi si leggeva - dovrebbe contenere una raccomandazione per il giudice della relativa razza che attiri l’attenzione su quei particolari che rivestono importanza ai fini della funzione fisiologica, della capacità di movimento e della integrità fisica”.

 

Otto anni più tardi il commento di Eberhard Trumler (il più noto allievo di Konrad Lorenz) nel suo libro Il Cane Preso sul Serio non poteva essere più sarcastico: “... ciò presuppone, naturalmente, che ci si renda conto in primo luogo che l’essere continuamente malati non rientra nella normalità dello stato fisico di un cane, ma è un segno inconfondibile di debolezza costituzionale”. Altri trentasei anni sono trascorsi e buona parte del lavoro del medico veterinario oggi consiste nel tamponare gli effetti dei difetti congeniti e delle predisposizioni su base ereditaria degli animali, squilibri endocrini e riproduttivi compresi. Non si tratta di sventure "naturali" cadute tra noi da chissà dove: ognuno di questi problemi dipende dal fatto che nella selezione delle razze si trascura il benessere biologico del cane (le sue attitudini funzionali, le capacità fisiche, l'integrità riproduttiva, la resistenza alle malattie) per puntare tutto sulle caratteristiche “estetiche”. E infatti a redigere gli standard di razza sono per lo più allevatori e cinologi, quasi mai genetisti né medici veterinari, due categorie di esperti che potrebbero opporsi a questa tendenza ma che il più delle volte non vengono neppure consultati.

 

Il maltrattamento genetico dei cani si sviluppa su diversi fronti:

  • La ricerca estetica     Quando viene perseguita fine a se stessa e senza controlli medici, la selezione di tipo estetico sfocia in anomalie che comportano una diminuzione della forma fisica e della resistenza degli animali (per esempio nanismo e gigantismo eccessivi) oppure in gravi patologie e aberrazioni su base ereditaria, come per esempio la depressione da consanguineità (inbreeding depression) e l'estrema vulnerabilità a disturbi mentali di vario tipo.
  • Esclusioni arbitrarie      La depressione da consanguineità peggiora via via che aumenta il numero di individui "scartati" dai piani d’allevamento perché risultano affetti da patologie genetiche (per esempio displasie articolari) oppure perché caratterizzati da colori e marcature non graditi pur trattandosi di cani sani ed equilibrati. Neanche in fatto di genetica dei colori gli allevatori dimostrano di possedere le competenze necessarie per comprendere la differenza relativa di importanza tra un colore estraneo alla storia della razza e un colore o una pezzatura semplicemente meno graditi. Col rischio che proprio questi ultimi finiscano col diventare delle priorità nelle scelte dei riproduttori!
  • Stalloni pericolosi     Non è raro che allevatori-espositori senza scrupoli presentino nei ring - e quindi promuovano come stalloni - cani “preparati” in modo tale da esibire un modello morfologico perfetto eppure portatori di pericolose patologie ereditarie (ad esempio anomalie cardiache congenite).
  • Ciascuno per sé    Troppi allevatori non dimostrano alcun desiderio né capacità di cooperare e confrontarsi tra loro per valutare i problemi che via via inevitabilmente insorgono, problemi che vengono invece rigorosamente tenuti nascosti per non pregiudicare il successo dei riproduttori. Sarebbe invece importante compilare dei registri aperti con la segnalazione delle patologie ereditarie di cui ogni individuo è risultato portatore; questa è anzi l’unica strategia veramente vincente in questo campo e per fortuna alcuni "illuminati" cominciano a emergere.
  • La controselezione      E' in crescita anche il fenomeno della "controselezione", che comporta un numero sempre più grande di cani con alterazioni del comportamento sociale. Gli esempi più eclatanti sono i cani allevati a fini di combattimento oppure quelli con una riduzione delle capacità di comunicare (ad esempio i cani di tipo "bull") e/o gli animali soggetti ad aggressività immotivata. I prodotti di questa selezione controevolutiva (bisogna ricordare che il cane è una specie sociale per eccellenza) tendono a divenire con preoccupante frequenza adulti difficili da gestire per famiglie non preparate e, di conseguenza, finiscono per essere una componente importante delle popolazioni di animali che passano la loro vita nei canili.
  • Le fabbriche di cuccioli     Un’altra componente importante del maltrattamento genetico è data dall’allevamento commerciale senza criteri selettivi presso le cosiddette “fabbriche di cuccioli” o puppy farms, il cui unico interesse è di tipo economico. In questi allevamenti in batteria, i cani riproduttori non vengono sottoposti ad alcun vaglio selettivo, né morfologico né sanitario né comportamentale. Nelle puppy farms, inoltre, gli animali vengono molto spesso detenuti in condizioni di malgestione o addirittura di maltrattamento per deprivazione di stimoli ambientali e sociali.

Nel corso degli ultimi cinquant'anni, nell’ambito della cinofilia sportiva, è progressivamente cresciuto l’ossessivo interesse per le esposizioni di bellezza che per un numero significativo di allevatori sono l'obiettivo prioritario, se non l'unico. Tutto si riassume nel far venire al mondo il campione, un fine coltivato nel più completo disinteresse per le caratteristiche “non estetiche” dell’animale. Tra le conseguenze di questo fenomeno c'è anche l’eclatante frammentazione delle popolazioni canine in varietà di colore e di pelo (peli duri/rasi/lunghi) e di taglia (cani giganti/medi/nani). E' evidente che soggetto della selezione deve essere l'animale nella sua interezza, non solo parti di esso, e che insieme all’aspetto morfologico si debbano considerare il temperamento, le capacità comunicative e cognitive, le attitudini sociali e, naturalmente, la globalità della salute. Tutto quello che non viene attivamente ricercato in questa selezione, andrà perduto. E' più chiaro a questo punto che cosa si intende per "maltrattamento genetico": ilvolontario o involontario disinteresse per caratteristiche che sono di grande importanza per la qualità della vita dell’animale a favore di una spiccata ricerca di tratti morfologici secondari. Tutti ne soffriranno, a partire dai cuccioli che vengono messi al mondo nella più completa indifferenza circa la vita che potranno condurre. Ma ne soffrirà profondamente anche la relazione tra il cane "geneticamente maltrattato" e la famiglia d’adozione: il coinvolgimento emotivo e il peso finanziario che comporta avere in casa un cane sofferente senza rimedio non è per nulla semplice da gestire. Per il cane tutto ciò può tradursi nella tragedia dell’abbandono o della soppressione. In conclusione, a noi pare che il maltrattamento genetico non sia meno grave del maltrattamento fisico di un singolo individuo, anzi: ci pare un fenomeno da detestare e perseguire come forma di crudeltà i cui effetti si trasmettono da una generazione all’altra. Non possiamo ammettere che la storia del cane domestico, iniziata almeno 15-20.000 anni fa, svariati millenni prima dell’addomesticamento di qualunque altro animale, venga mortificata da queste aberrazioni. Auspichiamo quindi una presa di coscienza collettiva e la conseguente denuncia del fenomeno. L’approfondita conoscenza delle tante dimensioni chiamate in causa da questo fenomeno è la base indispensabile per proporre interventi correttivi che dovranno coinvolgere e convincere tutte le categorie professionali e amatoriali chegravitano intorno all’allevamento del cane di razza: non solo gli allevatori, quindi, ma i medici veterinari e le loro associazioni professionali e accademiche, i privati che desiderano adottare un cane di razza e i dirigenti dei kennel club nazionali e internazionali.

Per fortuna, in questi ultimi anni stiamo assistendo all’assunzione di responsabilità di alcuni kennel club, a cominciare da quelli scandinavi e britannico. Senza contare che anche l’ENCI (Ente nazionale della cinofilia italiana) ha sottoscritto questa primavera un nuovo codice deontologico per i giudici di esposizione: il testo impone una grande attenzione alle condizioni sanitarie e caratteriali dei cani presentati e decreta di voler combattere il maltrattamento genetico con serietà.

 

 

 

FONTE: Barbara Gallicchio - Medico veterinario